Suicidio rituale o montatura a Pechino?

- interogazione sull'auto-immolazione avvenuta in Piazza Tien An Men
 
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Cosa ci potrebbe essere di più drammatico? La gente si dà fuoco in piazza Tienanmen nel cuore di Pechino. La CNN è sul posto. La polizia ha, guarda caso, gli estintori a portata di mano e le vittime sono in fretta e furia trasportate in ospedale dopo che la loro agonia è stata accuratamente ripresa per la televisione di stato. E mentre i media controllati dal governo contrariamente alle loro abitudini divulgano la storia immediatamente, ci vuole una settimana prima che il video completo sia messo in onda.

Ben presto delle orrende immagini fanno il giro del mondo e sembrano confermare le accuse di Pechino che un culto diabolico sta ordinando a dei suoi seguaci plagiati di suicidarsi.

Citando questa nuova “prova”, il governo insiste nel dire che tutto quello che è stato detto su quei “fanatici” seguaci di Falun Gong è dunque vero e che questa gente deve essere bandita perché pericolosa a se stessa e alla nazione. Il 16 febbraio scorso un altro suicidio viene attribuito a Falun Gong. Accanto ad un corpo carbonizzato viene rinvenuto un biglietto stranamente integro che si dice indicare che la vittima si è suicidata per manifestare il proprio appoggio alla pratica spirituale di Li Hongzhi.

Ian Johnson del Wall Street Journal, uno dei più penetranti tra i giornalisti che seguono questa storia, cominciò a sospettare qualcosa rilevando l’inusuale velocità con la quale questa storia veniva seguita e osservando che gli organi di informazione statali “avevano diffuso la notizia della morte della vittima con strana sollecitudine, il che vuol dire che, o il fatto era accaduto prima di quanto riportato, oppure che i media, di solito molto prudenti, avevano avuto ad altissimo livello l’approvazione per una rapida diffusione di comunicati stampa e servizi televisivi. Il telegiornale delle 19 ad esempio aveva mandato in onda un servizio dal luogo natale del sig. Tan, Changde, una piccola città della provincia dello Hunan. La maggior parte dei servizi per i telegiornali della sera sono preparati entro la mattinata, cosicché ben raramente vengono trasmessi servizi su avvenimenti accaduti lo stesso giorno, per non parlare poi di quelli su fatti accaduti a mezzogiorno e che presumono trasmissioni via satellite da località abbastanza remote del paese”.

Per i lettori di giornali e gli spettatori televisivi sono spesso le sensazioni più immediate ad interpretare realtà altrimenti difficilmente spiegabili. In un mondo dove la drammaticità delle immagini nasconde la complessità dei problemi, Falun Gong viene dunque riconosciuto colpevole di essere un culto per pazzi e fanatici. Caso chiuso!

Suicidio rituale o montatura a Pechino?
di Danny Schechter

Davvero un grosso successo per il presidente cinese Jiang Zemin e la sua crociata di annientamento e discredito verso un movimento spirituale in crescita e che continua a resistere alla messa al bando proclamata dal governo, nonostante la detenzione di si calcola 50.000 praticanti e la morte di altri 100 mentre si trovavano in mano della polizia. Il Financial Times, sulla base di questo solo fatto specifico, ha già proclamato un “vincitore”, titolando: “Pechino vince la guerra di propaganda con Falun Gong”. Notare il titolo. Non fa riferimento giusto ad una scaramuccia in una guerra di propaganda che si protrae da 19 mesi, bensì alla guerra stessa.

Molte altre autorevoli agenzie stampa hanno diramato la stessa storia nello stesso modo, benché non fossero in grado di verificarla direttamente, usando al contrario i resoconti dei mezzi di informazione statali controllati dal partito comunista e in particolare modo l’agenzia di stampa Xinua. Ora che si pongono nuovi interrogativi e si manifestano dei dubbi, potrebbe saltar fuori che l’informazione mondiale è stata manipolata fino per farla divenire un acritico canale di trasmissione al servizio dell’arroganza di Pechino.

Prima linea

Il primo incidente è avvenuto il 23 gennaio scorso, qualche giorno dopo che il presidente Jiang aveva intensificato ufficialmente in tutto il paese la sua campagna propagandistica contro il culto. La CNN era presente nella piazza e aveva ripreso i suicidi, però le video-cassette erano state confiscate e così non siamo mai stati in grado di vederle. Sette giorni più tardi la televisione ufficiale cinese ha sconvolto l’intera nazione con le immagini di cinque persone avvolte dalle fiamme, affermando che le immagini erano state riprese da alcune telecamere di sorveglianza nelle immediate vicinanze. Una vittima dell’incidente tragicamente sfigurata, la dodicenne Liu Siying, afferma ora che la sua stessa madre le aveva detto di darsi fuoco per raggiungere il “dorato regno celeste” o, secondo altre fonti, per raggiungere il “nirvana”. Liu è diventata così un perfetto simbolo, una sorta di icona per i presunti abusi del “culto diabolico”. La sua immagine è dovunque, la sua tragedia ha indignato tutta la Cina. (Da questo punto di vista la ragazzina è l’Elian Gonzales della Cina!) Però solo alcuni rappresentanti autorizzati dei mezzi di informazione hanno ottenuto il permesso di visitarla. Ai giornalisti occidentali è stato negato ogni contatto diretto con lei.

Era forse una praticante di Falun Gong? Non pare sia così dopo che Phillip Pan del Washington Post ne ha seguito le tracce fino a casa sua a Kaifeng (la città che ha avuto recentemente l’ancor più tragico incendio di una discoteca, con centinaia di morti e moltissimi sfigurati). Pan ha scoperto che la madre della ragazza, morta lei sì nel fuoco di piazza Tienanmen, non era nota in città come una praticante, era invece depressa, mentalmente instabile e accusata di picchiare sua figlia e sua madre.

Significativamente uno dei direttori di produzione della CNN presenti sul posto a meno di venti metri dice di non avere nemmeno visto un bambino sulla scena.

Il governo dice che i dottori hanno effettuato una tracheotomia sulla bambina, ma un chirurgo pediatrico ha detto che, se così fosse stato, la vittima non avrebbe potuto parlare subito dopo.

Sono state riportate le dichiarazioni dei portavoce di Falun Gong, dove negano di avere ordinato, orchestrato o partecipato a tale episodio. Nelle loro dichiarazioni, che tra l’altro non sono state riportate integralmente da nessuna parte, si spingono oltre e accusano la stampa occidentale:”Siamo sconcertati dal fatto che la stampa straniera conceda così tanto tempo e credibilità all’agenzia di stampa Xinhua e alla emittente televisiva CCTV, entrambe portavoce della linea del partito dalla Repubblica Popolare Cinese. Xinhua e altre agenzie governative non sono in genere considerate fonti attendibili, dato che persino loro stesse ammettono che il loro compito è diffondere la propaganda del regime cinese. Di fatto, Xinhua è la linea del partito.

“C’è ancora molto di non chiaro e non conosciuto sulle circostanze che hanno portato al tragico fatto. E nessuno sa cosa è successo nella settimana che è seguita all’avvenimento e prima che i mezzi di informazione cinesi diffondessero finalmente i loro ben orchestrati articoli di stampa e programmi televisivi. Dobbiamo ricordare che il regime cinese controlla così strettamente ogni aspetto di questo caso che nemmeno una delle affermazioni dell’agenzia Xinhua è stata confermata da fonti indipendenti.

E perché poi Falun Gong negherebbe il ruolo avuto nell’incidente, se questo era una forma di protesta? La Fondazione Longhai che monitora le prigioni cinesi, ha posto domande simili nel National Review: “Quanto è successo è stato forse preparato o lasciato accadere dal governo cinese con lo scopo di screditare Falun Gong? Questa non è un’ipotesi peregrina. Il governo cinese ha promesso di eliminare ogni problema relativo a Falun Gong prima dell’80° anniversario della fondazione del partito comunista cinese, anniversario che Pechino si prepara a celebrare il prossimo luglio…Una giornalista, Justin Yu, sul quotidiano World Journal, edizione in lingua cinese, ha fatto delle riflessioni sulla confusione di molti cinesi su che cosa credere. Il colpo propagandistico del regime cinese contro Falun Gong fa leva sul modo che la gente ha di recepire alcuni eventi della storia recente in Asia, come ad esempio quello del monaco buddista di 73 anni a Saigon, il cui suicidio rituale è stato inteso come una forma di protesta in nome dei suoi ideali, similarmente ai coreani che si tagliano le dita e al rituale giapponese del “hara-kiri” (suicidio rituale con la spada). Tutta questa situazione però non è chiara. A chi dobbiamo credere? Ai comunisti forse? Ci hanno mentito così tante volte che una menzogna in più non è niente per loro.

Ho chiesto a Beatrice Turpin, che ha seguito Falun Gong in Cina per la Associated Press TV e ha scritti delle sue esperienze per MediaChannel, quali fossero i suoi dubbi. Mi ha risposto dalla sua casa in Tainlandia: “Lo scorso capodanno cinese c’è stato un grande clamore intorno alle manifestazioni di protesta di Falun Gong e ampi servizi sulla brutalità della polizia contro i praticanti. Sarebbe certamente coerente con la tipica strategia dei cinesi l’aver quest’anno preparato e diretto loro stessi lo spettacolo.”

Motivi per essere scettici

Alcuni praticanti di Falun Gong mi hanno subito detto che cominciarono a nutrire dei dubbi per tre motivi:

1. le persone in piazza Tienanmen, benché propagandati come praticanti di lunga data, non avevano

eseguito correttamente gli esercizi di Falun Gong;

2. le autorità non avevano fatto vedere nessun simbolo di Falun Gong, nessun emblema, nessun

libro (che proibisce il suicidio), tutte cose che di solito i manifestanti portano con sé nella piazza

Tiananmen; e inoltre,

3. all’epoca nella quale si diceva si fosse diplomata una delle vittime, la scuola in questione era in

realtà chiusa. Dicono anche che non c’è alcun concetto di “nirvana” nel loro credo.

Questi sono forse dei piccoli dettagli, però significativi.

In un comunicato stampa Falun Gong ha indicato altre contraddizioni: “L’agenzia di stampa Xinhua afferma che entro un minuto da che l’uomo di era dato fuoco, la polizia era già sopra di lui con quattro estintori e rapidamente aveva spento le fiamme. Ad ogni modo, un giornalista europeo residente a Pechino ci ha detto: “Non ho mai visto i poliziotti in servizio in piazza Tienanmen portarsi dietro degli estintori. Come mai oggi sono saltati fuori tutti insieme? Il luogo dell’incidente è ad almeno 20 minuti tra andata e ritorno dal più vicino edificio, il People’s Great Hall. Se fossero dovuti precipitarsi laggiù per prendere gli estintori, sarebbe stato troppo tardi.“ E’ mai possibile che la polizia disponesse in un minuto non di uno ma di ben quattro estintori, se non fosse stata già a conoscenza di cosa stava per succedere?

“In termini di tempi di reazione, un altro giornalista straniero a Pechino ha espresso vivo stupore sul fatto che l’agenzia Xinhua sia stata in grado di diramare immediatamente il primo comunicato sull’incidente e oltretutto in inglese, niente meno. Tutti i cittadini cinesi sanno che ogni comunicato della Xinhua deve di solito prima superare diversi livelli di approvazione da parte di alti dirigenti ed è ormai obsoleto quando alla fine viene rilasciato. In più, durante i 18 mesi di persecuzione, gli organi di informazione controllati dallo stato non hanno mai rilasciato agli organi di stampa stranieri delle foto o dei video delle manifestazioni di protesta di Falun Gong; perché ora sì e con così poca esitazione? E perché solo in inglese e non in cinese?”

Il problema è stato continuamente sollevato durante le mie recenti conferenze in quattro città per parlare del mio nuovo libro su Falun Gong. Certe persone mi hanno detto che, se nel nome di Falun Gong si commettono delle follie, Falun Gong stesso deve essere follia. Quando ho messo in dubbio che tutti i dettagli ci fossero noti, tali persone hanno manifestato scarso interesse. Questo forse succede perché, quando la gente viene a conoscenza di “fatti” che sembrano confermare le loro sensazioni, non vogliono sentire altro, anche se i cosiddetti “fatti” possono essere falsi o fuorvianti.

Le immagini forti entrano nel cervello, il che raramente succede alle ritrattazioni e chiarificazioni. Nel libro appena pubblicato “Tiananmen Papers”, sul come il partito comunista cinese ha gestito la protesta degli studenti nel 1989, il giornalista Orville Schell, decano della Journalism School all’università di Berkeley, discute sulle manipolazioni e sui falsi che il governo cinese assieme ad altri ha organizzato e fatto circolare nel corso degli anni. Disinformazione e falsificazione sono le specialità delle centrali di spionaggio in molti paesi, particolarmente in Cina. Non sorprende che Pechino bolli come non veritieri questi nuovi documenti. E’ chiaro che la loro pubblicazione è imbarazzante per i reticenti alti dirigenti cinesi, specialmente per il presidente Jiang Zemin, il cui ruolo di fautore della linea dura in quegli eventi è stato fatto rivivere nella pubblica persecuzione di Falun Gong.

Dove sono gli scettici?

Perché il profondamente radicato e istituzionalizzato scetticismo dei nostri stessi mezzi di informazione si scioglie di fronte a quello che appare come un caso montato dallo stato e apertamente sfruttato per ragioni politiche? Perché così numerosi organi di stampa americani si farebbero prendere in giro? E’ forse perché il profumo della spiritualità e del misticismo di una cultura, che pochi di noi capiscono, rende ad alcuni di noi imbarazzante la pratica giornalistica?

Nella mia ricerca su Falun Gong rilevo una fastidiosa tendenza degli organi di informazione americani a riflettere le accuse di quelli cinesi, compreso il frequente uso di termini peggiorativi quali “culto”, “setta” o perfino “accozzaglia”. Per certi aspetti gli organi del nostro paese riflettono anche un punto di vista monocorde e stereotipato, sottovalutando e denigrando una forza che non si lascia incasellare nelle solite categorie politiche di destra o sinistra e con la quale è difficile relazionarsi, dato il suo carattere asiatico e le sue radici che derivano da un miscuglio di buddismo, taoismo e tradizionale qigong. Falun Gong è troppo spesso trattato come qualcosa di “alieno”, troppo bizzarro per essere preso sul serio o per suscitare simpatia. (Per inciso, io non sono un praticante di Falun Gong, ma la nostra compagnia ha prodotto dei video per Falun Gong, il che mi ha permesso di ottenere dati e informazioni che ho usato per scrivere un libro e produrre un film sull’argomento.)

In uno dei miei interventi in una libreria di Chicago, qualcuno ha paragonato Falun Gong e l’attuale situazione in Cina al caso dei Branch Davidians di David Koresh e ai 51 giorni di assedio da parte delle forze di polizia federali a Waco, che avevano apparentemente lo scopo di sequestrare le armi e proteggere i bambini da maltrattamenti, un paragone questo invocato dalla Cina per dimostrare di comportarsi proprio come si era comportato lo stesso governo statunitense nel combattere le sue sette pericolose. Qualcuno è intervenuto per contestare l’analogia, sostenendo che Koresh e i suoi erano dei violenti, mentre Falun Gong non lo è. E’ vero. Non c’è possibilità di paragone diretto, se non per quel che riguarda il modo di reagire agli avvenimenti. Negli Stati Uniti solo l’estrema destra ha criticato il brutale intervento militare del governo, il che mi ricorda le parole di quel tenente americano in Vietnam: “Abbiamo distrutto il villaggio con l’obiettivo di salvarlo.”

La diffusa mancanza di comprensione verso le famiglie sotto il folle controllo di Koresh, ha spinto molti americani a interpretare con freddezza o a non protestare contro la sanguinosa e illegale repressione messa in atto a Waco. Se delle persone ci appaiono prive di umanità, tendiamo a non provare pietà per loro e giriamo la testa quando i loro diritti sono violati, soprattutto se non ci piacciono i loro principi e se le consideriamo causa del loro male. Se si vogliono conoscere i particolari di dove può portare la mancanza di umanità in Cina, si legga il recente rapporto di Amnesty International sulla diffusa pratica della tortura, spesso usata contro i pacifici praticanti di Falun Gong. Pechino, ovviamente, bolla come falso anche questo rapporto.

Lo scorso 17 febbraio, più di mille praticanti di Falun Gong hanno protestato a Los Angeles in modo non violento contro la persecuzione che sta avendo luogo in Cina. Ben pochi cronisti si sono fatti vivi alla loro conferenza stampa, anche se questa è una storia da prima pagina in tutto il mondo. (Il giorno dopo non ho trovato una riga in proposito sul quotidiano The Los Angeles Times, nonostante la pagina dedicata ai libri ospitasse un dibattito su quanto accaduto in piazza Tienanmen nel 1989.) L’indifferenza dei mezzi di informazione dilata l’indifferenza del pubblico. I mezzi di informazione cinesi fanno il loro mestiere, ma come spiegare l’atteggiamento di quelli occidentali che si sono occupati di questa storia in modo così sporadico?

Pensando a quale importante ruolo i mezzi di informazione hanno avuto in questa storia di “suicidio collettivo”, non è troppo tardi per investigare a fondo, non solo su ciò che è avvenuto, ma anche sul se e sul perché siamo stati tutti manipolati.

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