Italia: Rassegna Stampa - Le libertà negate

Diritti umani, pochi i progressi della nuova amministrazione. Continuano le repressioni e le esecuzioni capitali.
 
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Osservatorio Cina - AprileOnLine - 28 maggio 2005

Rapporto 2005 di Amnesty International: in Cina pochi progressi per i diritti umani

La nuova amministrazione, in carica dal marzo 2003 (Hu Jintao, presidente della Repubblica e Wen Jiabao, Capo del Governo) ha consolidato la propria autorità, in particolare in seguito alle dimissioni a settembre del presidente uscente Jiang Zemin dal ruolo di presidente della Commissione militare centrale. Sono state introdotte alcune riforme legali, tra cui nuovi regolamenti per la prevenzione della tortura nei casi di custodia da parte della polizia e un emendamento alla Costituzione varato a marzo che stabilisce che «lo Stato rispetta e protegge i diritti umani». Tuttavia, la mancata introduzione delle necessarie riforme istituzionali ha gravemente compromesso l’attuazione di tali riforme. Le autorità hanno annunciato ufficialmente l’intenzione di riformare il sistema di detenzione amministrativa denominato “rieducazione attraverso il lavoro”, impiegato per detenere centinaia di migliaia di persone fino a 4 anni senza accusa né processo. Tuttavia l’esatta natura e il campo di applicazione della riforma restano oscuri.

Decine di migliaia di persone hanno continuato a essere detenute arbitrariamente o incarcerate per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione e associazione, esposte a grave rischio di tortura o maltrattamenti. Migliaia di persone sono state condannate a morte e molte delle sentenze sono state eseguite, spesso in seguito a processi iniqui. Sono aumentate le proteste pubbliche contro gli sfratti espropriativi e la requisizione di terre senza ricompenso adeguato. Nella regione dello Xinjiang, la Cina ha continuato a servirsi del pretesto della “guerra al terrorismo” internazionale per giustificare la repressione contro gli uighuri. In Tibet, e in altre zone abitate da etnie tibetane, le libertà di espressione e religione hanno continuato a essere fortemente limitate.

Le autorità hanno dimostrato un atteggiamento più attivo riguardo alla gestione dell’epidemia di HIV/AIDS nel Paese, incluso il varo di una nuova legge ad agosto che intende incrementare le misure per la prevenzione dell’AIDS e rendere illegale la discriminazione contro le persone affette da AIDS o altre malattie infettive. Tuttavia, attivisti locali impegnati nella richiesta di migliori condizioni di vita per i malati hanno continuato a essere arbitrariamente detenuti.

Sono continuate le repressioni politiche contro determinati gruppi, tra cui il movimento spirituale Falun Gong, gruppi cristiani non ufficiali, e i cosiddetti “separatisti ed estremisti religiosi” nella regione dello Xinjiang e in Tibet.

Applicata la pena di morte a migliaia di persone

La pena di morte ha continuato a essere applicata in modo esteso e arbitrario, ed è stata spesso determinata da interferenze politiche. Sono state eseguite condanne a morte per reati non violenti, come la frode fiscale e l’appropriazione indebita, ma anche per reati di droga e crimini violenti. Le autorità hanno continuato a mantenere segrete le statistiche nazionali sulle condanne a morte e sulle esecuzioni. A fine anno, in base ai rapporti pubblici disponibili, AI ha stimato almeno 3.400 esecuzioni e almeno 6.000 condanne a morte, sebbene si ritenga che le cifre reali siano molto più alte. A marzo, un alto esponente del Congresso nazionale del popolo ha dichiarato che la Cina esegue circa 10.000 condanne a morte all’anno.

Negata la libertà d’organizzazione sindacale

Non sono cessate le pesanti restrizioni al diritto alle libertà di espressione e di associazione dei rappresentanti dei lavoratori, mentre i sindacati indipendenti hanno continuato a essere considerati illegali. Secondo alcune fonti, nel contesto della riforma economica, alle numerose vittime di sfratti espropriativi, espropriazioni terriere e licenziamenti sono state negate congrue indennità. Sono aumentate le proteste pubbliche e per la maggior parte pacifiche contro tali prassi, il che ha determinato in risposta numerose detenzioni ed altri tipi di abusi.

Pechino è stata spesso al centro delle proteste, dovute in parte all’attività di demolizione degli edifici in vista dei giochi olimpici che la città ospiterà nel 2008. Le vittime degli sfratti provenienti da altre parti del Paese si sono inoltre recate a Pechino per richiedere alle autorità centrali l’indennità negata dalle autorità locali. Secondo quanto riferito, decine di migliaia di richiedenti sono stati tratti in stato di fermo dalla polizia di Pechino nel corso di operazioni di sicurezza alla vigilia degli incontri ufficiali tenutisi a marzo e a settembre.

A settembre, Kong Youping, membro di spicco del Partito democratico cinese ed ex sindacalista della provincia di Liaoning, è stato condannato a 15 anni di reclusione per “sovversione”. Era stato arrestato alla fine del 2003 dopo aver pubblicato articoli su Internet in cui denunciava la corruzione ufficiale e richiedeva una rivalutazione del movimento per la democrazia del 1989.

La repressione della Falun Gong e degli islamici indipendentisti

Il movimento spirituale Falun Gong è rimasto al centro della repressione, che non avrebbe escluso numerose detenzioni arbitrarie. La maggior parte delle persone detenute sono state assoggettate a periodi di “rieducazione attraverso il lavoro” senza accuse né processo, nel corso dei quali sono state gravemente esposte a rischio di torture o maltrattamenti, soprattutto nel caso in cui si fossero rifiutate di abiurare il proprio credo. Altri (praticanti - Nota dell'Editore) sono stati incarcerati o rinchiusi in ospedali psichiatrici. Secondo fonti straniere riconducibili al Falun Gong, dal 1999 sono morte oltre 1.000 persone che erano state arrestate in relazione al movimento, la maggior parte in seguito a torture e maltrattamenti.

Mentre è nota internazionalmente la situazione tibetana, di solito i media ignorano ciò che accade nello Xinjiang. Le autorità hanno continuato a richiamarsi alla “guerra al terrorismo” internazionale come pretesto per le dure repressioni attuate nella regione, che hanno determinato gravi violazioni dei diritti umani contro la comunità degli uighuri. Le autorità hanno continuato a non distinguere quanti commettono atti di violenza da quanti esercitano una resistenza passiva. La repressione si è manifestata con la chiusura di moschee non riconosciute, l’arresto di imam, restrizioni all’uso della lingua uighura e il divieto di diffondere determinati libri e giornali uighuri.

Sono continuati gli arresti di persone sospettate di essere “separatisti, terroristi ed estremisti religiosi”, e migliaia di prigionieri politici, compresi prigionieri di coscienza, sono rimasti in carcere. Fonti riferiscono che molte delle persone accusate di essere “separatisti” o “terroristi” sono state condannate a morte e “giustiziate”. Attivisti di etnia uighura che avevano cercato di divulgare informazioni all’estero sull’entità della repressione sono stati esposti al rischio di detenzione arbitraria e incarcerazione.

Abdulghani Memetimin, un insegnante e giornalista di 40 anni, ha continuato a scontare una pena detentiva di nove anni a Kashgar. Era stato condannato per aver “fornito segreti di Stato a entità straniere” nel giugno 2003, quando aveva inviato informazioni in Germania a una ONG fondata da uighuri riguardo alle violazioni dei diritti umani contro persone di etnia uighura e per aver effettuato traduzioni di discorsi ufficiali.

Fonte: AprileOnLine.info

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