Cisco al Senato USA: nessun aiuto alla censura cinese

Cisco Systems Inc respinge ogni accusa, non avrebbe dato nessun aiuto al governo cinese a oscurare Internet ma a inchiodarla ci sarebbero svariati memorandum interni e un documento di cui è in possesso il Congresso americano.
 
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Cisco Systems Inc respinge ogni accusa, non avrebbe dato nessun aiuto al governo cinese a oscurare Internet ma a inchiodarla ci sarebbero svariati memorandum interni e un documento di cui è in possesso il Congresso americano.

Alcuni attivisti dei diritti umani hanno attribuito al colosso americano la responsabilità di aver fornito consigli tecnici al governo cinese nelle sue abituali pratiche di censura della rete.

Il documento, ottenuto dal Congresso statunitense e rivelato dal Washington Post e dall’Associated Press, svela che anni fa, nel 2002, Cisco Systems preparò un file di presentazione commerciale, finalizzato alla penetrazione nel mercato cinese, in cui sembra mostrarsi disposta ad assistere il ministero della Pubblica sicurezza di Pechino nel suo obiettivo di “combattere il culto malvagio del Falun Gong e altri elementi ostili”. Falun Gong e' un movimento spirituale che il governo cinese ha represso con durezza, dichiarando il suo coinvolgimento in attivita' illegali.

Il documento è stato oggetto di una audizione presso il comitato giudiziario del Senato per valutare la sua compatibilità con il Global Internet Freedom Act, una legge contro la censura su Internet.
Presente Mark Chandler, a capo dell’ufficio legale di Cisco, che ha rigettato ogni accusa e ogni interpretazione sui reali obiettivi della società contenuti nell’offerta.

Una portavoce di Cisco, Jennifer Greeson Dunnm, ha detto che i documenti sono stati scritti sei anni fa, ed erano destinati solo ai dipendenti cinesi dell'azienda.

"Si trattava semplicemente di una riaffermazione degli obiettivi del governo - ha aggiunto la portavoce - non ha niente a che fare con gli obiettivi di Cisco e le tecnologie di Cisco. Noi siamo assolutamente per la liberta' di espressione"

Ma Shiyu Zhou, vicedirettore del Consorzio Global Internet freedom, formato da varie università e organizzazioni internazionali, ha dichiarato: “La lotta contro la censura su internet è stata fino a questo momento una lotta solitaria, siamo stanchi di dover combattere perfino le società americane” che dovrebbero condividere gli stessi obiettivi di libertà in rete.

Le critiche piovono su Cisco mentre la società informatica americana tenta di aumentare le proprie vendite in Cina e si trova a spartire il mercato con Huawei Technologies Co Ltd e soprattutto con il competitor Americano Juniper Networks Inc.

Attualmente il mercato asiatico rappresenta una fetta dell’ 11 per cento delle vendite globali di Cisco, e la Cina è in testa alla lista dei paesi asiatici. Anche Yahoo e Google sono state accusate di aver collaborato con il governo cinese nell’opera di ripulitura dei contenuti della rete.

Google e Yahoo si sono dette disponibili a stabilire un codice etico che vincoli le società di informatica.

Reporter senza frontiere ha documentato che i dissidenti o i semplici navigatori arrestati dall’apposita cyberpolizia cinese sono centinaia. Il numero dei navigatori cinesi raddoppia ogni sei mesi, e con esso controlli e repressioni. Tutto questo si traduce in leggi liberticide, cyberdissidenti incarcerati, siti bloccati, stretta sorveglianza dei forum di discussione, Internet caffè chiusi, una rete imbavagliata.

In Cina il piano di censura di internet prende il nome di «Scudo dorato»: un progetto colossale e teoricamente segreto per cui i Ministeri della Sicurezza e dell’Informazione hanno già disposto mezzi finanziari e umani notevolissimi (più di trentamila persone) così da proteggere lo Stato dagli eversivi.
Già nel gennaio del 2001 l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua annunciava che chiunque si fosse trovato implicato in reati telematici avrebbe rischiato il carcere sino all’ergastolo e la condanna a morte. L’Università di Harvard, dal maggio al novembre 2002, ha condotto uno studio su 204.000 siti che erano stati visitati tramite i motori di ricerca google e Yahoo!, e ne è risultato che più di 50.000 siti erano stati resi inaccessibili.

Si tratta in minor parte di siti porno e in maggior parte di informazioni sul Tibet, su Taiwan, sulla democrazia in generale, sui diritti umani, su associazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, nondimeno tutti i siti di università americane oltrechè quelli che trattano argomenti medici o religiosi, nonché, ovvio, quelli relativi a un totale di 923 giornali del mondo.

Fonte: http://www.rainews24.rai.it/ran24/rainews24_2007/tema/21052008_dallarete_135.asp

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