Falun Dafa Information Centre: Violazioni di Portata Olimpica

Pechino comunica alla stampa l'intenzione di escludere milioni di Falun Gong, in violazione della carta olimpica
 
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Gli organizzatori delle Olimpiadi di Pechino hanno rivelato apertamente un politica che bandisce i praticanti del Falun Gong dalla partecipazione ai Giochi Olimpici estivi 2008, lo ha riferito mercoledì il Falun Dafa Information Center. La decisione di Pechino è in aperta violazione degli articoli 35 e 36 della stessa Costituzione cinese, che garantisce libertà di associazione e di fede religiosa, e delle norme dettate dal Comitato Olimpico Internazionale, che proibiscono ogni forma di discriminazione, incluse quella religiosa e politica.

Il Falun Dafa Information Center condanna la decisione di Pechino e chiede alla comunità internazionale di fare pressione sui dirigenti comunisti cinesi perché facciano marcia indietro rispetto a questa politica illecita.

“Le Olimpiadi non devono essere trasformate in un teatro di intolleranza, in una celebrazione delle macchinazioni comuniste,” ha detto il portavoce dell’Information Center Zhang Erping. “Stiamo parlando di decine di milioni di persone alle quali saranno proibiti i Giochi semplicemente per chi sono. Questa è una violazione della Carta Olimpica di proporzioni che nessuno avrebbe potuto immaginare.”

Le notizie riguardanti i progetti discriminatori di Pechino sono state pubblicate l’8 novembre dall’Associated Press. Il resoconto che la nuova politica religiosa, a quanto si dice “più tollerante”, “non si applica al Falun Gong,” e piuttosto riafferma la “determinazione della Cina a marginalizzare, perseguitare e sradicare questo movimento spirituale.”

Li Zhanjun, direttore del centro stampa delle Olimpiadi di Pechino, ha detto all’Associated Press che, “i testi del Falun Gong e le attività del Falun Gong sono proibiti in Cina” e che “gli stranieri che vengono in Cina devono rispettare le leggi della Cina.”

La spiegazione di Pechino tuttavia non è soddisfacente, per il fatto che marchiare il Falun Gong come “illegale” è in opposizione con la costituzione della Repubblica Popolare Cinese e con numerosi accordi e convenzioni internazionali di cui la PRC è firmataria. L’articolo 35 della Costituzione cinese, ad esempio, afferma che i cittadini “godono della libertà di parola, di stampa, di assemblea, di associazione, di sfilare in corteo e di dimostrazione”.

L’articolo 36 allo stesso modo dichiara che i cittadini “godono della libertà di pensiero” e che “nessun organo statale, organizzazione pubblica o individuo può obbligare i cittadini a credere, o a non credere, in qualunque religione; né può discriminare cittadini che credono, o non credono, in una qualsiasi religione.”

Le Olimpiadi difficilmente dovrebbero fornire l’occasione per politiche ti questo tipo, anche se le autorità della PRC le hanno ostentate per decenni. Al contrario il CIO ha indicato che i Giochi obbligheranno i governanti cinesi a migliorare il loro spaventoso primato in materia di diritti umani. La Carta Olimpica afferma con chiarezza: “Ogni forma di discriminazione con riferimento a un paese o a una persona, in base a razza, religione, politica, genere o altro è incompatibile con l’appartenenza al Movimento Olimpico.”

Così le norme del CIO proteggono contro la marginalizzazione di gruppi come il Falun Gong, anche se una tale discriminazione fosse sancita internamente; bollare il Falun Gong come “illegale” non cambia il carattere religioso, o i diritti, di questo gruppo, e rivela soltanto la volontà e la decisione delle autorità comuniste cinesi di subordinare il governo della legge al capriccio politico.

“Il fatto che Pechino chiami il Falun Gong ‘illegale’ è un tentativo goffo di giustificare quello che è un programma di violenza e di persecuzione autorizzato a livello istituzionale. Il fatto rimane: milioni di cittadini pacifici che rispettano la legge e che aspirano unicamente ad una salute migliore e ad una vita morale, sono brutalizzati e privati dei loro diritti dal regime comunista autoritario,” ha affermato Zhang. “In tutti gli altri 75 paesi non comunisti nel mondo intero in cui si può trovare il Falun Gong, esso è praticato liberamente, legalmente e apertamente. Solo la Cina comunista mette in atto questa repressione spietata.”

Secondo il rapporto 2005 dell’Ispettore Speciale dell’ONU sulle Torture, il 66% delle vittime di tortura note sono aderenti del Falun Gong. Nel rapporto 2006, l’Ispettore Speciale esprime la sua preoccupazione riguardo ai sempre più numerosi resoconti della sistematica repressione contro il Falun Gong dicendo, “rapporti di arresti, detenzioni, maltrattamenti, torture, violenze sessuali, morti e processi ingiusti di membri di cosiddette ‘organizzazione eretiche’, in particolare praticanti del Falun Gong, riflettono una politica deliberata e istituzionalizzata delle autorità volta a colpire gruppi specifici come il Falun Gong.”

Il Falun Dafa Information Center ha verificato i dettagli di più di 63.000 casi di torture, con oltre 3.000 morti durante la custodia. Si suppone che il reale numero dei morti sia di più di 10.000 persone.

L’ultima dichiarazione di Pechino fa seguito ad una serie di avvertimenti lanciati dell’Information Center. Questo ha anticipato queste politiche, e ha cercato sostegno internazionale per prevenire il loro realizzarsi.

Nel 2005, per esempio, il Center ha ricevuto dei rapporti credibili secondo i quali, in preparazione dei Giochi Olimpici e in contrasto con la loro promessa di migliorare i diritti umani, le autorità della RPC stavano predisponendo misure per “schiacciare” il Falun Gong prima dell’estate 2008.

Nel maggio 2007 il Center ha riferito di una direttiva segreta del Ministro della Pubblica Sicurezza, fornito al Center da un fonte in Cina, che elencava 43 categorie di indesiderati che dovevano essere sottoposti a indagine e ai quali doveva essere impedito l’accesso alle Olimpiadi di Pechino 2008.

L’Information Center sta attualmente attendendo una dichiarazione dagli ufficiali del CIO a proposito di questo annuncio, e chiede chiarimenti su quali misure saranno utilizzate per assicurare che non siano attuale politiche discriminatorie, attuate apertamente o in modo coperto, da parte delle autorità della RPC.

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