(Minghui.org) Il mio nome è Chen Liyan, e ho 40 anni. Ho iniziato a praticare il Falun Gong nello stesso momento di mio marito Li Xiwang nel 1995. Mio marito è stato arrestato nel 2010, accusato di praticare e chiarire la verità sul Falun Gong, sebbene gli articoli 35 e 36 della Costituzione Cinese garantiscono ai cittadini la libertà di parola e di credo spirituale.
Mio marito è morto nel 2011, dopo 10 giorni trascorsi nel carcere di Gangbei a Tianjin. La prigione ha sostenuto che è morto in ospedale mentre, all'inizio del 2013, da fonti attendibili provenienti dal centro di detenzione mi è stato comunicato che in realtà è stato torturato a morte in carcere.
Arresto iniziale
Dopo che il Partito Comunista Cinese (PCC), nel Luglio 1999, ha iniziato la repressione contro il Falun Gong, mio marito ed io abbiamo cominciato a chiarire la verità e distribuire materiali contenenti informazioni su questa antica pratica meditativa. Per questo motivo mio marito, il 16 Maggio 2001 è stato arrestato e condannato a otto anni di carcere. Io sono stata arrestata nel Novembre 2001 e condannata a cinque anni di detenzione. Ci siamo riuniti dopo che lui è stato rilasciato il 16 Maggio 2009. Siamo stati finalmente di nuovo in grado sia di studiare i libri del Falun Gong che praticare gli esercizi insieme. Abbiamo ripreso a chiarire la verità per salvare le persone dalle bugie create dal PCC per giustificare la sua spietata repressione contro il Falun Gong.
Siamo stati arrestati un’altra volta il 21 Dicembre 2010 mentre chiarivamo la verità e tenuti nel centro di detenzione per sette mesi. Anche se la polizia non è stata in grado di trovare alcuna prova per il pubblico ministero, sono stata condannata ad un anno di lavori forzati e mio marito a trascorrere otto anni nella Prigione di Gangbei a Tianjin, nota anche come Prigione Binhai.
Mio marito è morto dopo soli dieci giorni di carcere. Ero sicura avesse subito molte forme di tortura perché ho visto molti segni sul suo corpo. Ho sollevato molte domande sulla sua morte, ma le autorità carcerarie non hanno risposto a nessuna di queste. Mi hanno detto di firmare una delega in modo che la sorella di mio marito potesse svolgere i preparativi per il funerale dato che io ero detenuta nel campo di lavoro forzato. Ho chiesto di non far cremare il suo corpo perché volevo aspettare di essere rilasciata per occuparmi personalmente del suo funerale. Tuttavia, il personale carcerario, lo ha cremato senza il mio permesso. Essi hanno inoltre raggiunto un accordo con sua sorella per pagarmi 350 mila Yuan a titolo di risarcimento, a condizione di non contattare più la prigione riguardo mio marito.
Il 18 Marzo 2013 ho sentito da fonti affidabili nel carcere, che proprio lì mio marito è stato torturato a morte. Dopo averlo ucciso le guardie fecero iniettare, da un detenuto, dei farmaci nel corpo di mio marito per creare l'illusione che fosse ancora vivo. Il detenuto stesso inorridì quando vide gli occhi di mio marito morto spalancarsi, mentre la sua carne era viola.
C'erano tre guardie in servizio al momento. Una di loro è stata licenziata, anche se è stato detto a tutti che si è dimessa. Le altre due guardie sono state trasferite. Hanno anche spedito il suo corpo all’Ospedale di Xinsheng per una finta rianimazione. La guardia di sicurezza ha scritto su di un foglio, "Inviato un corpo morto". Tuttavia, li fecero cambiare dichiarazione e scrivere, "Un detenuto trasferito in ospedale". Dong, il medico curante all'Ospedale di Xinsheng, ha perfino prodotto un documento falsificato affermando che mio marito è morto dopo 60 minuti di tentativi di rianimazione.
Prima di essere liberata dal campo di lavoro, i funzionari dell’Ufficio di Gestione delle Prigioni e dell’Ufficio di Gestione del Lavoro Forzato intrattennero con me delle "conversazioni", minacciandomi di non dover presentare ricorso per quanto riguardava la morte di mio marito, altrimenti avrei sopportato tutte le conseguenze del caso.
La polizia mi monitora quando esco di casa e ho scoperto che la mia linea telefonica è stata messa sotto controllo. Sono stata osservata perfino quando sono tornata nella mia città natale. Il poliziotto della mia città natale mi ha detto, "Siamo stati avvisati del tuo rientro". È evidente che la polizia ha paura che io possa tentare di esporre la verità sulla morte di mio marito.
Chiedo giustizia per lui. Ho diritto di sapere come è morto e desidero consegnare i responsabili della sua morte alla giustizia.
(*)GLOSSARIO
* * *
Potete stampare e diffondere gli articoli ed i contenuti pubblicati su Clearharmony, ma per favore citate la fonte.