Italia: Rassegna Stampa: Si salvi chi può. Nessuno (Estratto)

Intervista al Francesco Visioli, il coordinatore nazionale di Amnesty International sezione Italiana
 
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Da "Il Federalismo" - 26 settembre 2005

Sul fatto che la Cina rappresenti un’opportunità economica per l’Occidente esistono pareri discordanti, ma sul fatto che in questo grande Paese il rispetto dei diritti umani sia un optional tutti dovrebbero esser concordi. Invece più che concordi, potremmo dire che sono volutamente ciechi e sordi, in nome del Dio denaro, come si conferma Francesco Visioli, coordinatore per la Cina della Sezione Italiana di Amnesty Internatianal.

Coma accade quando si parla di Cina, si pensa solo al business e ci si dimentica dei diritti umani?

«si, purtroppo l’Occidente, come lei ben dice, si è completamente dimenticato dei diritti umani. La situazione è drammatica in questo Paese, a maggior ragione pensando che in Cina vive un quinto di popolazione mondiale, pari a un miliardo e trecento milioni di persone che non ha minimamente accesso alle più elementari forme di libertà e i cui diritti umani vengono quotidianamente calpestati. Nei “settori” più diversi la Cina è uno dei maggiori violatori dei diritti umani nel mondo. Di questo non se ne parla perché l’unica cosa che interessa della Cina è il business che rappresenta».

Almeno con la nuova amministrazione del 2003 qualcosa è cambiato, oppure sono soltanto parole e niente fatti?

«Al momento sono soltanto parole, non registriamo, ad esempio, nessun progresso sul fronte della pena di morte, sul fronte della negazione delle libertà religiose. Non esiste nessun progresso neanche sul fronte delle autonomie o delle indipendenze dei gruppi e delle etnie locali, come i tibetani o gli uighuri. C’è un liberalismo sfrenato che porta all’arricchimento personale degli imprenditori, che corre parallelamente al totalitarismo più bieco e che nega ai propri cittadini qualsiasi forma di libertà».

Un modo per aumentare il gap che divide i poteri forti dal popolo…

«Indubbiamente. C’è una piccola parte della popolazione che fa affari e si arrichisce dandosi al commercio interno più sfrenato o facendo affari con l’Occidente, mentre una larghissima fetta di popolazione non riesce a progredire né economicamente, né dal punto di vista delle libertà civili».

Chi sono le vittime di questa “barbarie”? Sono le donne, i bambini, gli attivisti politici, i gruppi religiosi …

«Purtroppo nessuno è veramente al sicuro in Cina. Ovviamente le categorie più svantaggiate sono le donne, i bambini e i lavoratori, gli stessi giornalisti che vengono frequentemente incarcerati… Vorrei ricordare che in Cina internet è censurato, pertanto chi cerca di accedere a siti occidentali o digita parole come “democrazia” e “diritti umani” viene arrestato dalla polizia. La gamma delle violazioni dei diritti umani è molto ampia e non risparmia nessuno».

Amnesty come si sta movendo perlomeno per arginare una situazione tanto drammatica?

«Facendo pressione sui governi per ricordare loro che la Cina non è solo un grande mercato aperto all’Occidente, o che sta invadendo l’Occidente a seconda del punto di vista da cui si osserva la situazione, ma che un quinto della popolazione mondiale non ha accesso alle più elementari forme di libertà e tutto questo passa sotto silenzio perché si parla esclusivamente di economia».

I paesi cui lanciate il vostro appello, fanno orecchie da mercante, o si muovono nella giusta direzione?

«Purtroppo quando si parla di business di diventa tutti uguali: dalla Francia accondiscendente con i cinesi perché vuol piazzare i suoi Air Bus, all’Italia e a tutti gli altri … ognuno di loro è schiavo del dio denaro».

Pensa che i rapporti economici con l’occidente rappresentino uno spiraglio per la conquista del rispetto dei diritti umani da parte del popolo cinese?

«Potenzialmente potrebbe essere un canale giusto, se il legare i rapporti commerciali al rispetto dei livelli di democrazia diventasse elemento basilare: aiuterebbe sia la popolazione cinese, sia i governi occidentali».

In che modo?

«Perché dobbiamo ricordarci che oltre ad alzare i dazi doganali o pensare ad alzare altre barriere, una delle forme per limitare l’afflusso dei prodotti cinesi in Occidente è proprio quello di fare produrre i manufatti nel rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali. Se noi facciamo sì che in Cina vengano realizzati merci secondo standard internazionale è ovvio che il prezzo delle merci si alza automaticamente. Il rispetto dei diritti umani diventa la migliore forma di protezionismo indiretto».

Che cosa sono in realtà i campi di lavoro ancora aperti in Cina?

«Si parla sempre di gulag sovietici e campi di concentramento nazisti, purtroppo si parla ancora molto poco dei campi di lavoro cinesi in cui vengono spediti sia criminali comuni che dissidenti politici. Vengono internati per essere rieducati, come dice il governo cinese, attraverso il lavoro: in realtà è solo un eufemismo per reprimere il dissenso e costringere gli internati ai lavori forzati producendo merci in condizione assolutamente disumane».

Che cosa mi dice dei praticanti (seguaci) del Falun Gong, una dei gruppi perseguitato dal regime comunista cinese?

«La loro è una situazione davvero drammatica: il Falun Gong è una pratica e disciplina assolutamente non violenta che non ha nessuno obiettivo politico, che non ha intenzione di rovesciare il potere politico, è semplicemente un pacifico approccio alla vita, ma nonostante questo i praticanti vengono perseguitati dal governo, e sono così costretti a riunirsi clandestinamente. Si registrano almeno 1,000 torturati a morte fra i praticanti del Falun Gong. Il fatto stesso che questa sia un’associazione non riconosciuta dal governo, la rende automaticamente illegale e perseguibile dalle autorità».

La comunità cinese in Italia può dormire sonni tranquilli o la lunga mano del partito può decidere ancora della loro vita?

«In certe occasioni la mano del partito arriva, come nel caso dei praticanti del Falun Gong, anche da noi pur potendo praticare liberamente».

In quel modo?

«Ricattando i diretti interessati, facendo loro capire che la salute dei loro cari in Cina potrebbe essere in pericolo. Chi si rivolge all’ambasciata, ad esempio, deve firmare un documento con cui abiura il Falun Gong. La comunità italiana poi è molto chiusa e ha pochissimi scambi con l’esterno, ma può comunque dormire sonni tranquilli visto che si trova in un Paese democratico. La preoccupazione è per chi vive ancora in quel Paese».

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