Ginevra, Svizzera: Discorso tenuto dal Giudice argentino Octavio Aráoz de Lamadrid ad un forum delle Nazioni Unite sui diritti umani in Cina

Seconda Parte
 
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Prima Parte

Antefatti

Il 12 dicembre 2005, durante la visita di Luo Gan, ex Segretario del Comitato per gli Affari Politici e Legislativi del Comitato Centrale del Partito comunista della Repubblica Popolare Cinese, Coordinatore dell'Ufficio per il Controllo del Falun Gong (Ufficio 610), in Argentina, l'Associazione della Falun Dafa locale ha presentato un’azione legale contro Luo Gan per tortura e genocidio dei praticanti del Falun Gong in Cina. Il caso è stato accettato dal giudice del Tribunale penale federale n. 9, del Dottor Octavio Aráoz de Lamadrid.

Dopo oltre 4 anni di indagini, tra cui un viaggio a New York per intervistare le vittime rifugiate, e raccogliendo la testimonianza di diverse vittime che sono andate in Argentina per testimoniare, il giudice è giunto alla conclusione che, a partire dall’anno 1999, su richiesta dell’allora Presidente della Repubblica popolare cinese, Jiang Zemin, è stato messo in moto un piano sistematico, totalmente organizzato ed elaborato per perseguitare il Falun Gong ed i suoi praticanti. Lo scopo era di forzare i praticanti a rinunciare al loro credo spirituale attraverso la tortura e l’omicidio, in modo da eliminare il Falun Gong.

Il 17 dicembre 2009, il giudice Araoz de Lamadrid ha stabilito che vi erano prove sufficienti perché dichiarasse gli indiziati dei crimini descritti come sospetti di essere autori di crimini contro l'umanità per quanto riguarda la persecuzione del Falun Gong in Cina.

Ha affermato che dovrebbero essere portati davanti a lui per fare una dichiarazione durante l'interrogatorio preliminare. A causa della gravità dei reati, ha emesso un ordine di cattura per portare in Argentina i due al fine di interrogarli. L'ordine di cattura doveva essere effettuato dal Dipartimento dell’Interpol della Polizia Federale argentina. Dopo che saranno portati in Argentina saranno messi in isolamento. Il giudice ha basato la sua decisione sul principio della giurisdizione universale.

Dal momento dell'inizio della causa, il governo cinese sta forzando il governo argentino perché chiuda il caso. Il 21 dicembre 2009, il giudice ha rassegnato le dimissioni per via delle pressioni politiche da parte del governo argentino. Ha detto in un'intervista che ha preferito dimettersi piuttosto che arrendersi e fare cose di cui se ne sarebbe pentito in seguito.

Nel marzo del 2010, il giudice de Lamadrid ha partecipato alla 13ª Seduta del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU per presentare il caso alla comunità internazionale. Il 17 marzo, ha tenuto un discorso al Forum per i Diritti Umani in Cina, organizzato dall’Associazione delle Nazioni Unite di San Diego.

Nella sua presentazione, il Dott. Aráoz de Lamadrid ha spiegato il diritto universale di accesso alla giustizia, dicendo che "Ogni vittima di un crimine descritto come ‘contro l'umanità’ ha il diritto di appellarsi alla giustizia in un tribunale di ogni paese (alle condizioni indicate) e di chiedere un’investigazione ed eventualmente una sanzione per gli autori di questi crimini".

Ha anche sollecitato che, “... il riconoscimento d'urgenza, la promozione e la tutela di tutti i diritti umani impone agli Stati d’impegnarsi al massimo grado in tutti i settori per conseguire questo obiettivo e per astenersi dal mettere gli interessi politici o economici come priorità.”

Ha sottolineato che lo sviluppo delle relazioni economiche con la Cina "devono essere accompagnate da un effettivo dialogo politico, e chiedere che il rispetto dei diritti umani sia parte integrante dei nuovi accordi che si stanno attualmente negoziando con la Cina.”

A seguire la seconda parte del discorso tenuto dal Giudice Octavio Aráoz de Lamadrid:

V) Sviluppi

1) Per quanto riguarda gli argomenti proposti, vorrei sottolineare che il primo problema sollevato circa la possibilità di perseguire una persona che ha l'immunità diplomatica e/o l’immunità legale, non è così difficile rispondere come sembra essere in un primo momento.

Ci sono due ragioni:

a) La prima è che la Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche (Nazioni Unite, 18 aprile 1961) stabilisce che ogni persona che ha diritto a questi privilegi ne gode dal momento in cui entra nel territorio dello Stato ospitante per prendere possesso del suo ufficio e cessa quando lascia il paese. È necessario concludere che, se l'individuo di una Stato sovrano non entra nel paese (l'Argentina, nel mio caso) per prendere possesso di un ufficio diplomatico, la protezione non lo riguarda e, per chiarire meglio, mentre è in un paese straniero, non ha diritto ad alcuna protezione rispetto ad un mandato d'arresto e all'estradizione (se questa si materializza, l'ingresso nel paese non sarebbe per prendere una posizione, ma per essere sottoposto a procedimento penale, il che è un altro discorso).

b) Per quanto riguarda l'immunità legale, prima degli accordi presi dalla Convenzione di Vienna del 1963 sulle Relazioni Consolari, era stabilito che un diplomatico non poteva essere detenuto tranne in presenza di un reato grave, e sempre per mezzo di una decisione giudiziaria. Il genocidio sembra essere un reato grave abbastanza perché quest’immunità manchi di essere effettiva.

Si può puntualizzare un ulteriore argomento, riassumendo, al fine di dare una risposta generica e, quindi, coprire tutte le domande: quando si ha a che fare con una denuncia di una molteplicità di crimini (omicidio, tortura, tormento, sparizioni forzate, ecc.), commessi in modo sistematico dall'apparato di uno Stato sovrano (ogni stato), che costituisce, innegabilmente, una violazione chiara e flagrante dei diritti umani e su vasta scala, in gran quantità e gravità, deve essere considerato un criminale contro l'umanità. Dobbiamo essere consapevoli che non solo le legislazioni interne di tutti i paesi nel mondo sono ricettive a questo tipo di reati ma anche, per la loro gravità ed importanza, l’intera comunità internazionale è interessata al perseguirli e punirli (vedi anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata il 10/12/1948; la Convenzione sulla Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio, firmata il 19.12.1948, la Convenzione contro la tortura e altre pene crudeli o trattamenti inumani o degradanti, firmata il 10.12.1984, e lo Statuto di Roma che ha creato la Corte Penale Internazionale) e, quindi, le "barriere" previste dalle legislazioni locali (o anche qualche vecchia convenzione internazionale) deve lasciare il posto alla necessità d’indagare e reprimere tali reati.

2) La seconda questione, che è l'asse di questa presentazione e vorrei metterla più in evidenza, richiede un approfondimento più attento; mi sto riferendo al principio di giustizia universale.

1) Nel caso che mi è stato presentato, è stato richiesto (e si richiede ancora) che la Giustizia Argentina garantisca il diritto universale di accesso alla giustizia ad un gruppo religioso che è la vittima (nel suo paese d'origine e perseguitato dallo stesso Stato) di persecuzioni, di vessazione, di tortura, di omicidio e di altri reati, che insieme sono qualificati come crimini contro l'umanità. Sebbene la Repubblica Popolare Cinese abbia firmato la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio del 1948, non ha firmato lo Statuto di Roma che ha istituito la Corte Penale Internazionale e, pertanto, non è soggetta alla sua giurisdizione (farò una breve riflessione su questo tema alla fine).

La questione, dunque, è se sia possibile processare in Argentina gli alti funzionari del governo cinese per i crimini commessi in territorio cinese (la discussione è valida per qualsiasi nazione) anche dalle leggi argentine. Nel diritto penale, questa è indicata come "extra-territorialità della legge penale" e tratta le definizioni dell'ambito geografico in cui la legge locale può essere applicata. "Dove" possiamo portare i crimini commessi a giudizio con le nostre leggi?

Il diritto universale di accesso alla giustizia deve quindi fondersi, amalgamarsi con i diversi criteri che attualmente esistono per quanto riguarda il principio di territorialità (non è necessario entrare qui nei dettagli), in modo che le regole non si oppongano a vicenda, ma piuttosto si armonizzino fra loro.

Una vecchia massima ci insegna che non c'è niente di peggio dalla tecnica interpretativa, che comporta un’alterazione chiara ed evidente del significato inconfondibile delle parole di legge (naturalmente includo qui i trattati e le convenzioni internazionali).

In effetti, la fonte primaria d'interpretazione del diritto è la sua scrittura, ma la missione giudiziaria non si esaurisce con questo, perché i giudici, come servitori della legge che attuano la giustizia, non possono prescindere dall'intenzione del legislatore internazionale e dallo spirito che compendia l'obiettivo della norma; le loro conclusioni, quando si studiano le norme internazionali o i principi, si devono armonizzare e non porsi in contrasto con le norme giuridiche interne, coi principi fondamentali e con le garanzie dell’essere umano.

In definitiva, i giudici, pur cercando il significato dei regolamenti giudiziari, devono vedere che "il diritto penale, che è astratto e generico per natura, deve entrare in accordo con le specifiche e le variabili del particolare caso" (Vincenzo Manzini). Dovrebbero evitare di porre in conflitto le loro decisioni, distruggendone alcune per le altre, e dovrebbero adottare, come la verità, quella che le concilia, tenendo tutte quelle con valore ed efficacia.

È quindi impossibile rifiutarsi di svolgere un’investigazione delle caratteristiche espresse col pretesto di un’incompatibilità generica delle norme interne coi principi internazionali. Per il giudice, ciò equivale ad una evasione dalle sue responsabilità, come un magistrato, e per lo Stato che egli rappresenta, il rifiuto del suo impegno verso la comunità internazionale.

Tuttavia, nonostante l’attualità del soggetto (il fatto che ne stiamo discutendo oggi lo dimostra), dobbiamo riconoscere che questo atteggiamento non è né originale né innovativo. A questo proposito, molte persone, e molti anni fa, espressero la stessa cosa.

Già nel 1945, il maestro spagnolo, Luis Jimenez de Azua, insegnò che il principio di "territorialità" del diritto penale (come base per la validità punitiva nel campo di applicazione) deve essere integrata - a seconda dei casi - col principio di "nazionalità", col principio di "protezione" (o di "difesa") e "... col principio di interessi della comunità ("universale") e indipendentemente dal luogo in cui il crimine è stato commesso, quei reati che minacciano gli interessi generali degli Stati e dell'umanità sono penalizzati. Pertanto, i criminali che agiscono contro l'umanità ('hostes generis human'), ovunque essi siano arrestati e punire i crimini internazionali..." (da vedere "Lezioni di Diritto Penale", opera compilata e curata da Editorial Pedagógica Iberoamericana, Mexico, 1995, pp. 106).

Al presente, il precursore di finalismo, Hans Welzel, anche considerato che "... Per gli atti di stranieri in altri paesi, il diritto penale tedesco (interno), si applica solo in via eccezionale (...) in base ai principi del diritto globale, per la tutela degli interessi culturali di tutti gli Stati (...) il diritto penale (interno) disciplina tali atti, indipendentemente da dove siano stati commessi o contro qualsiasi Stato o cittadino fossero diretti ...". (Vedi "Diritto Penale. Parte generale", Editore R. Depalma, Buenos Aires, 1956, pp. 32/33).

Nel 1970, Werner Goldschmidt (Berlino 1910-Buenos Aires 1987) spiegò che (vedi Diritto Internazionale Privato, settima edizione, Depalma, Buenos Aires, 1990, pp. 527/533), "...In relazione ai crimini internazionali, il principio cosmopolita è giustificato, finché una giurisdizione internazionale autentica non è ancora stata stabilita. In effetti, ci sono crimini che sono diretti contro la comunità internazionale, come la pirateria, i traffici illeciti, il traffico di stupefacenti, il genocidio, ecc. Sarebbe corretto processarli nei tribunali internazionali. Ma se tali tribunali non funzionano ancora in modo normale e stabile (notiamo qui che la Cina non ha aderito allo Statuto di Roma che ha istituito la Corte Penale Internazionale), la suddivisione delle funzioni deve attenersi a: i tribunali di ciascun paese supervisionano alle funzioni dei tribunali internazionali, che non esistono ancora ... " Oggi stiamo anche incorporando e siamo responsabili per quei casi di competenza della Corte Penale Internazionale che non può coprire.

Citando solo due autori contemporanei di fama mondiale, Günter Stratenwerth (vedi "Diritto Penale. Generale, parte I. Il Reato", editore FJD, Buenos Aires, 1999, pp. 44) e Santiago Mir Puig (vedi "Diritto Penale. Parte generale", 5°. Edizione Tecfoto, Barcellona, 1998, pp. 23), in quali nei loro paesi oggi riconoscono la validità del principio "universale" come il mezzo (a livello internazionale e stabilito indiscutibilmente) per espandere obbligatoriamente il campo di applicazione del diritto penale, quando le azioni si riferiscono a reati considerati nocivi a "gli interessi comuni di tutto lo Stato" o "generalmente non approvati da tutti gli Stati". Tra questi, è posizionato al primo posto, "genocidio" (un chiaro esempio di applicazione di questo principio è la condanna in Spagna di un ex oppressore, Adolfo Scilingo, a 640 anni di reclusione, nonché, sempre in Spagna, una pena fino a 17010 anni di reclusione a Ricardo Miguel Cavallo, che è stato estradato in quel paese dal Messico - in entrambi i casi per gli eventi verificatisi durante l'ultima dittatura militare in Argentina).

Questo cosiddetto "principio universale, globale o cosmopolita", pertanto, si applica in presenza di reati cosiddetti contro il diritto delle nazioni (delicta iuris gentium), ed a cui fa riferimento l'attuale "Diritto Penale Internazionale", essendo i crimini definiti e accettati dalla comunità internazionale (attraverso le convenzioni), e la comunità delle nazioni nel suo complesso è interessata alla repressione di tali reati. Essi hanno la particolarità di poter essere puniti da qualsiasi Stato che catturi l'autore del reato, indipendentemente dal luogo in cui il crimine è stato commesso.

Nelle circostanze particolari di questo caso, la definizione di questi crimini, che sono stati accettati dalla comunità internazionale, richiede l'applicazione del diritto penale di qualsiasi Stato per azioni commesse al di fuori del proprio territorio, e precisamente il "principio universale, globale o cosmopolita" copre queste situazioni (si deve chiarire che ci sono due manifestazioni di questo principio: a) assoluta; in base al quale il diritto penale dello Stato ha efficacia assoluta extraterritoriale e si applica a qualsiasi reato, indipendentemente da dove sia stato commesso, dalla nazionalità dell’imputato, dal personaggio o dall’eredità giudiziaria che ha aggredito; e b) moderata; secondo la quale l'applicazione extraterritoriale del diritto penale è giustificata solo quando il reato minaccia patrimoni che possono essere considerati appartenenti all’umanità e lo Stato ferma l'artefice di questi crimini) .

Tuttavia, è opportuno fare alcune ulteriori considerazioni in merito alla base del "principio universale" per evitare confusione con altri che regolano anche l'applicazione del diritto penale in quest’area (ad es. principio supplementare) e che, allo stesso modo, sostiene anche l’applicazione della legge nazionale e la giurisdizione per gli atti commessi all'estero da stranieri, al fine di prevenire la sua scandalosa impunità.

La differenza sostanziale (William J. Fierro, "Il diritto penale e diritto internazionale", 2ª edizione. TEA, Buenos Aires, 1997, pp. 374/378) "... risiede nella sorgente in cui i reati inclusi nel principio universale sono prodotti, e nessun altro che la comunità internazionale o di una parte trascendente che esso definisce, attraverso convenzioni multilaterali, i reati che sono componenti di crimini contro il diritto delle nazioni (delicta iuris Pentium), che costituiscono il contenuto del principio universale (...), il principio è esercitato da tutti gli stati mettendo le loro risorse e i loro mezzi nella lotta difensiva contro tali aggressioni criminali, e il giudice dello Stato che li prende in custodia è competente per punirli ('iudex deprehensionis') ed applicherà le sanzioni corrispondenti in nome della comunità internazionale (a condizione che non optino per l'estradizione dell’imputato, ogniqualvolta ciò sia richiesto da un paese).

Le difficoltà che la battaglia contro questi crimini si trova ad affrontare, come nel caso di crimini contro l'umanità (genocidio), sono la loro grandezza e la loro natura che sono ripugnanti nel senso più elementare dell’etica. La gente del mondo non può rimanere impassibile di fronte a tali atrocità già provate. Vi è la necessità di raggiungere il consenso ed unificare gli sforzi per cercare di sradicare questi comportamenti aberranti dalla faccia della terra.

E a tutto questo, dev’essere aggiunto un argomento assolutamente pratico che, a mio avviso, finisce ogni tipo di riluttanza nell’applicare tale principio della giurisdizione universale, la cui prima conseguenza è di garantire il diritto universale di accesso alla giustizia.

È conoscenza pubblica e comune che, ad eccezione dello Statuto di Roma (Corte Penale Internazionale), nessuna delle convenzioni internazionali, che categorizza l’infrazione delle leggi contro iuris gentium, stabilisce sanzioni di alcun tipo. Il sistema scelto per regolamentarli consiste nel fatto che i colpevoli siano perseguiti e puniti secondo le leggi interne del paese dopo esser stati catturati o gli autori dei reati sono colpiti dall’estradizione. Resta chiaro quindi che il "principio universale" non crea una giurisdizione illimitata, ma che questa "competenza universale" sia debitamente limitata, circoscritta solo a determinati reati che sono stati definiti dalla comunità internazionale. Anche quando un determinato codice penale locale (interno) non menziona nulla riguardo l'inclusione del principio universale, le leggi di quel paese possono ancora accettarlo attraverso leggi speciali o semplicemente ratificando le convenzioni pertinenti e, in questo modo, incorporarlo nel diritto interno scritto con piena forza ed effetto.

2. Ora che il principio di "giustizia universale" è definito, è ancora necessario fare alcune considerazioni in merito al diritto universale di accesso alla giustizia "in sé".

La prima cosa da sottolineare è che gli Stati non concedono questi diritti fondamentali, ma dovrebbero essere loro stessi a creare e fornire condizioni adeguate perché si compiano. In questo modo, lo Stato sanziona se stesso realizzando i diritti fondamentali che sono i diritti naturali dell'individuo e che sono indipendenti dallo Stato (Enrique Bacigalupo Zapater "Principi costituzionali del diritto penale", 1999).

Da questa prospettiva, i diritti fondamentali dell'individuo limitano il principio di autorità dello Stato e svolgono la funzione essendo oltre gli obblighi dello stesso Stato.

Il diritto universale di accesso alla giustizia è un diritto umano fondamentale, essenziale in ogni sistema democratico e repubblicano. La sua importanza risalta il fatto che quando i diritti umani sono violati o ignorati, il diritto di accesso alla giustizia è l'unico strumento ideale per porre rimedio a tale situazione.

Alcuni autori rintracciano l'origine del diritto vigente di accesso alla giustizia nell'assistenza legale gratuita (vedi Haydée Birgin e Beatriz Kohen, "Access to Justice as a Guarantee of Equality", 2006). Già nel 1495 sotto il regno di Enrico VII, il Parlamento inglese approvò una legge speciale che garantisse il diritto ad un'assistenza legale gratuita e le persone colpite da povertà erano esenti dalle spese di giudizio nei procedimenti civili, dinanzi al Palazzo di Giustizia Comune. Alla fine del XVIII secolo, insieme alle rivoluzioni americana e francese, l’assistenza legale cominciò ad essere considerata un diritto politico associato alle idee di uguaglianza e giustizia.

In termini generici, quindi, il diritto di accesso alla giustizia mira a garantire l'accesso degli individui che si appellano ai tribunali perché amministrino la giustizia per i loro diritti. Implica anche ulteriori consigli o assistenza di un avvocato qualificato indipendente, il diritto ad un rimedio efficace, l'inserimento di norme per un giusto processo, quali la presunzione d’innocenza, la non retroattività della legge, la legalità, e così via. Per garantire il suo fine ultimo, è necessario il rispetto di alcuni principi, come ad esempio: la continuità, (l'amministrazione della giustizia non può essere sospesa per alcun motivo, nemmeno in situazioni eccezionali), l'adeguamento (lo Stato deve includere i cambiamenti, le riforme e le innovazioni alle sue leggi, come i meccanismi pratici e amministrativi necessari a garantire la sua efficacia), la velocità (il che implica che i termini giuridici siano soddisfatti), gratuitamente (almeno per le persone senza mezzi), l'uguaglianza davanti alla legge, per mezzo della quale chiunque, senza alcuna distinzione, deve poter avere accesso al sistema giudiziario.

In questo senso, se abbiamo capito che l'amministrazione della giustizia "... è il metodo principale che riflette l'obbligo dello Stato di fornire canali e sistemi perché tutti risolvano le loro controversie legali o chiariscano le loro richieste, e che quando qualcuno si rivolge alla giustizia, lo fa esercitando un diritto. Un'astensione dell’interessato a fare ciò, per ragioni del sistema o per ragioni proprie, equivale ad un problema di accesso, al punto che, a causa dell’inesistenza di condizioni favorevoli per lui nel farlo, potrebbe significare un rifiuto della giustizia (Thompson, 1999:25)." (Haydee Birgin e Beatriz Kohen "Access to Justice as a Guarantee of Equality", 2006).

Ma è molto importante capire e sottolineare che l'accesso alla giustizia è un vero e proprio diritto umano e non semplicemente un servizio a disposizione, proposto da molte persone, altrimenti questo potrebbe significare una commercializzazione dello stesso e chi ne ha bisogno è considerato come un cliente o utente e non come un individuo con dei diritti.

Il diritto universale di accesso alla giustizia può essere inteso o descritto come una possibilità concreta ed efficace garantendo che tutti, senza alcuna distinzione o limitazione, possono avere accesso (dev’essere garantito) a tutti i tribunali ordinari o straordinari, e che un tribunale che sia locale o internazionale può accettare il caso e risolvere (o tentare di) il conflitto in cui altri diritti fondamentali degli esseri umani sono in gioco.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) è dedicata a tutti i punti elencati. Vedi in particolare gli articoli 7, 8, 10 e 11.

In sintesi, secondo il mio parere, non ci può essere alcun dubbio sul diritto di applicare il diritto penale (Argentina in questo caso), ad un atto commesso da stranieri all'estero, quando può essere classificato come un crimine contro l'umanità e quando il suo autore è catturato, per fortuna, nel paese (o quando abbiamo avuto le condizioni per fare ciò, come in questo caso). Non vedo altro modo per considerare che un caso, come descritto, possa essere rimosso dal giudizio da parte dei tribunali locali, quando le giurisdizioni internazionali sembrano essere impedite ad agire.

Questo è il modo per garantire e dare piena validità al diritto universale di accesso alla giustizia. Ogni vittima di un reato descritto come contro l'umanità ha il diritto di riccorrere alla giustizia in un tribunale di un paese (alle condizioni indicate) e di chiedere un accertamento ed, eventualmente, una sanzione per gli autori di questi crimini. Le nazioni di tutto il mondo hanno l'obbligo di accettare queste denunce e fare uno sforzo per esprimere risoluzioni mettendo da parte, come ho già detto, ogni interesse (politico o economico) che possa ostacolare le indagini che, in definitiva, riguardano il riconoscimento e la piena validità dei diritti e delle garanzie fondamentali dell'essere umano.

L’uomo chiede, per diritto naturale, il rispetto della propria persona, una buona reputazione sociale, la possibilità di cercare la verità coltivando liberamente la filosofia o la religione che si adatta meglio alla sua cultura e, nei limiti dell'ordine morale, civile e del bene comune, possa esprimere e diffondere le opinioni ed esercitare qualsiasi professione. Di conseguenza attraverso il diritto naturale ha il diritto ad una legittima difesa dei propri diritti: difesa efficace, uguale per tutti e disciplinata da norme obiettive della giustizia.

Questa è, dunque, l'importanza e la posizione gerarchica che, entro i diritti fondamentali dell'uomo, gli si dà il diritto (universale) di accesso alla giustizia.

Il diritto di accesso alla giustizia è, in teoria, definito in questo modo. Le risposte alle domande 3 e 4 saranno brevi, e le lascio ai commenti finali di questa presentazione.

Intendo ora fornire una breve prospettiva della pratica di questo argomento da esperienze personali.

……….(continua)

Versione inglese:http://www.clearwisdom.net/html/articles/2010/4/5/115903.html

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