NEW YORK, 9 agosto, 2001 (Centro Informazioni di Falun Dafa) – Secondo un funzionario della sicurezza ben informato di quanto succede nel campo di lavoro forzato di Masanjia, provincia di Liaoning, Cina, 130 praticanti di Falun Gong, ivi illegalmente detenuti, hanno iniziato lo sciopero della fame. Lo sciopero ha già raggiunto il traguardo dei dieci giorni. La protesta è esplosa perché le autorità del campo non hanno rilasciato i praticanti di Falun Gong al termine dei loro previsti periodi di detenzione.
Si è inoltre saputo che il Dipartimento Giudiziario della provincia di Liaoning, assieme alla sezione provinciale del famigerato “ufficio 610”, ha diffuso un ordine di servizio dove si afferma che “siamo pronti a violare la legge [piuttosto che liberare i praticanti]; queste persone non vanno rilasciate per nessun motivo.” Si sa che tale direttiva ha portato ad un trattamento ancora più crudele dei praticanti che non hanno rinunciato a Falun Gong nel campo di lavoro di Masanjia.
Il campo di Masanjia è ben noto per le estremamente violente misure adottate per “rieducare” i praticanti di Falun Gong. E’ stato riferito che lo scorso ottobre dei funzionari di tale campo hanno denudato 18 praticanti donne di Falun Gong e le hanno gettate nelle celle di uomini detenuti; gli abusi che hanno patito sono stati terrificanti.
Un servizio pubblicato dal Washington Post del 5/08/2001 dà un’idea degli orrori della detenzione nei campi di lavoro forzato per tutti coloro che praticano Falun Gong. Il Washington Post ha raccontato la storia di un sopravissuto ai campi di lavoro, “James” Ouyang, un ingegnere elettrico di 35 anni, brutalizzato in un campo di lavoro di Pechino per non aver rinunciato ai propri convincimenti. Mentre era detenuto, Ouyang è stato costretto a stare in piedi faccia al muro per nove giorni. “Se si muoveva, lo bastonavano. Se cadeva dalla fatica, lo bastonavano. Ogni mattina aveva cinque minuti per mangiare e liberarsi l’intestino. ‘Se non ce la facevo, dovevo farmela addosso’, ha raccontato. ‘E anche per questo mi bastonavano.’ Al sesto giorno, ha detto Ouyang, quasi non ci vedeva più a forza di stare con la faccia a otto centimetri dall’intonaco del muro.”
Il fatto che 130 praticanti di Falun Gong siano in sciopero della fame nel campo di Masanjia per protestare contro il prolungamento della loro detenzione suggerisce due considerazioni. “Primo,” secondo il portavoce di Falun Gong sig. ra Feng Yuan, “ciò significa che il campo non è riuscito a lavare il cervello e a piegare questi praticanti, nonostante abbiano dovuto per mesi subire torture impietose, abusi e coercizioni. Ciascuno di loro è sopravvissuto ad almeno un anno di detenzione “nell’ inferno di Masanjia.’ Questo il volto vero e determinato di Falun Gong.”
Yuan ha aggiunto che, in secondo luogo, trattenere i praticanti più a lungo rivela la terribile paura del governo cinese: che cioé le ferme e risolute persone “non riformate” possano rivelare al mondo esterno le vere, orrende condizioni di vita del campo di Masanjia. Una tale rivelazione porterebbe ulteriore discredito all’immagine dei campi che le autorità cinesi hanno tentato di accreditare tramite visite organizzate propagandistiche.
Noi chiediamo alle autorità cinesi di permettere alle organizzazioni per i diritti umani e agli organi di stampa internazionali un accesso immediato e senza condizioni ai 130 praticanti di Falun Gong nel campo di Masanjia. Non ci dovrebbero essere le cinque settimane di “preparazione”, così come è stato per le precedenti visite organizzate.
Per almeno 10 giorni in questo momento 130 persone hanno usato le loro vite per chiedere giustizia. Questa è un’emergenza. Ci rivolgiamo ancora a tutti i governi ed istituzioni di buona volontà perché diano il loro aiuto per salvare i praticanti di Falun Gong perseguitati in Cina.
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