Immaginatevi una persona che sta morendo in un reparto di cardiologia perché il suo cuore non riesce più a pompare. Basterebbe sostituire l'organo con un altro perché la persona continui a vivere. Ma l'organo non arriva, non c'è, perché nessuno lo ha donato, e la persona muore.
Immaginatevi di essere un medico dei trapianti che ha studiato una vita per adempiere al suo mestiere e che ha giurato di fare tutto quanto in sua capacità per il bene del paziente; ha il desiderio di salvare la vita al paziente, impiantando un organo sano nel suo corpo, ma la sua volontà non basta, poiché manca l'organo, nessuno lo ha donato.
Al Congresso della Società Italiana Trapianti d'Organo (Sito) concluso a Siena i medici hanno mostrato un unico corale desiderio, quello di poter dare un organo ai 9.000 pazienti che ad oggi in Italia lo attendono. Alimentare la cultura della donazione, un leitmotiv che il presidente della Sito, Franco Citterio, non si stanca di ripetere, nonostante l'Italia già sieda in alto nella classifica mondiale per numero di trapianti – 2.841 nel 2013.
«Potremmo fare molto di più. Potremmo fare molto di più diffondendo la cultura della donazione», dice il professor Citterio a Epoch Times. E per riuscirci Citterio, al suo primo Congresso da presidente Sito, delinea una rotta chiara: aumentare e migliorare l'informazione, portandola negli ambienti di lavoro, di svago, nelle scuole, a tutta la società civile. Perché non accada più che una persona, che ha perso un proprio caro e gli viene chiesto di donare un organo, non abbia mai sentito parlare di donazione di organi. In tal caso sarebbe costretta a «una scelta emotiva e nella scelta emotiva è molto più facile dire no che dire si»; invece una «scelta meditata è la condizione migliore».
Prof. Citterio, Presidente della Società Italiana Trapianti d'Organo (Sito) |
«Il maggiore ostacolo è la scarsa informazione. Noi vediamo che quando la gente è informata il numero delle donazioni aumenta», afferma il professore, ricordando la ricorrenza del 20° anno dalla morte di Nicholas Green, il bimbo americano ucciso durante una vacanza in Italia, e dalla decisione dei genitori di donare i suoi organi. Il gesto altruistico, ripreso e largamente diffuso dai media, ebbe allora l'effetto di far schizzare in alto il numero delle donazioni.
«Il problema comunicazione è un problema multilevel», ci tiene a precisare Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti (Cnt), che insiste anche sulla formazione del personale medico: «Le donazioni non si fanno ai convegni coi bei programmi. È importante andare nelle scuole, sviluppare una cultura della donazione, ma è importante guardare l'organizzazione delle rianimazioni, di quelli che fanno l'accertamento cerebrale, di quelli che poi parlano con la famiglia».
Per Nanni Costa sono due i fattori determinanti per rilanciare la donazione: la giornata europea per la donazione, che si celebrerà il prossimo 11 ottobre, e il meccanismo, già entrato in vigore, che offre la possibilità al cittadino di dichiarare la volontà di donare gli organi direttamente al momento del rilascio della carta d'identità.
È ben sperata quindi su tutti i fronti un aumento della donazione, che non solo gioverà alle migliaia in attesa di un organo, ma anche alla casse dello Stato. Secondo la Sito, paragonando il costo di un trapiantato di rene a quello di un paziente in dialisi, in 20 anni il risparmio per l'erario ammonterebbe a 484 mila euro. «Questo significa che quanto viene risparmiato potrebbe essere investito per salvare altre vite umane», afferma Citterio.
L'altra faccia della donazione
La donazione è un atto di grande generosità – specialmente in caso di donazione altruistica, ossia verso ignoti – che, per usare le parole di Citterio, «dà un grande senso di serenità a chi dona». È un atto libero, che una persona matura consapevolmente, in intimità con se stesso.
Il consenso libero nella donazione è un concetto marcatamente ripreso anche dalla Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico internazionale di organi umani ratificata il 9 luglio scorso e che alcune associazioni italiane propongono sia l'Italia a firmare per prima, facendosi forte della presidenza del semestre europeo.
Nel fenomeno del traffico degli organi la donazione assume connotazioni certamente meno 'commoventi'. Al mondo si effettuano 10 mila trapianti illegali ogni anno, che corrispondono al 10 per cento del totale, con cifre da capogiro per ogni singolo trapianto – in Cina un trapianto illegale di rene costa 70 mila dollari, riporta una nota della Sito.
Non è il caso dei Paesi dell'Europa occidentale, dove i «sistemi di controllo dei vari Centri nazionali sull'attività del trapianto sono molto attenti, molto precisi, ogni donatore, ogni trapianto viene tracciato», ci tiene a ribadire il prof. Citterio.
Ma in alcuni paesi asiatici, del Medio-Oriente o del Sud-America la donazione, pur conservando il carattere della volontarietà, si trasforma in un grido di disperazione al quale i diseredati si affidano per ottenere un po' di soldi in cambio di pezzi del proprio corpo, messi poi in circolo all'interno di una rete controllata sovente da organizzazioni criminali.
Tale realtà assume una forma brutale laddove è lo Stato che controlla il traffico degli organi, usando i prigionieri giustiziati e i prigionieri di coscienza come banca di organi da vendere sul mercato internazionale.
È questo il caso della Cina, dove il personale militare gestisce numerosi ospedali e le entrate dal commercio degli organi rappresentano una parte cospicua per le casse del settore. Autorità del regime cinese, guardie penitenziarie e medici dei trapianti ricoprono i differenti ruoli del macabro ciclo degli organi cinese.
Prelevare organi dai condannati a morte è una pratica che va contro gli standard etici globalmente accettati: nell'ottobre del 2012 l'Associazione medica mondiale ha affermato espressamente che «nei Paesi in cui viene praticata la pena di morte i prigionieri giustiziati non devono essere considerati come donatori di tessuti e/o organi»
«È certamente una pratica da censurare e assolutamente sconveniente, perché la donazione deve essere un atto assolutamente libero. Noi dobbiamo poter decidere serenamente, non certo sotto coercizione o sotto la pressione della condanna a morte», afferma il professor Franco Citterio.
«La situazione in Cina è una situazione nota – continua Citterio – è una situazione che è stata sanzionata dalla Società internazionale dei Trapianti con dichiarazioni. Vi è stata un'apparente presa di dato da parte dei responsabili del governo cinese su questa pratica con dichiarazioni che non sarebbe mai più avvenuta. In realtà questo sembra che non sia il caso, e che continui ad essere attuata».
Recenti sono le contrastanti affermazioni da parte delle autorità cinesi. A novembre 2013 – ricevendo il plauso e la soddisfazione della comunità medica internazionale – la Cina ha sottoscritto la Risoluzione di Hangzhou dichiarando di mettere fine entro il 2015 al prelievo di organi da prigionieri giustiziati. Solo pochi mesi dopo, nel marzo 2014, i funzionari cinesi, hanno dichiarato che la Cina continuerà a utilizzare organi da prigionieri e che gli organi verranno contabilizzati e inseriti nel nuovo sistema computerizzato per l'allocazione degli organi (Cotrs).
«In Cina i donatori vengono uccisi», dichiara senza mezzi termini la dott.ssa Katerina Angelakopoulou, portavoce italiano della Dafoh, un'associazione di tutela dell'etica medica fondata nel 2007 e presente a Siena con uno stand espositivo. La Dafoh sta guidando una campagna internazionale contro il prelievo forzato di organi in Cina. Alcuni medici hanno deciso di attivare quest'organizzazione dopo l'inchiesta che ha portato nel 2006 l'avvocato per i diritti umani David Matas e l'ex segretario di stato canadese David Kilgour a dichiarare nel rapporto Bloody Harvest che 41.500 trapianti forzati sono stati eseguiti dal 2000 al 2005 ai danni dei praticanti del Falun Gong, una disciplina meditativa perseguitata dal regime cinese.
A parte registrazioni telefoniche di medici cinesi che confermano la disponibilità di organi di praticanti del Falun Gong su richiesta, nel rapporto si fa riferimento ai tempi d'attesa di 1-4 settimane offerti dagli ospedali cinesi per un trapianto. Un tempo estremamente rapido se paragonato al tempo medio che occorre in Italia – circa due anni per un rene – e che «si spiega solo con un'ampia banca di donatori vivi disponibili all'occorrenza», afferma la dott.ssa Angelakopoulou.
Come fermare questa pratica immorale in Cina quindi? «Penso che la condanna internazionale, la continua pressione contro questa attività determini una pressione morale che potrà avere i propri effetti», suggerisce Franco Citterio.
Nel marzo 2013 la commissione Diritti umani del Senato ha approvato una risoluzione contro il prelievo forzato di organi in Cina. È stata poi lanciata una coalizione di parlamentari contro il prelievo forzato di organi – afferma la dott.ssa Angelakopoulou – e in poco più di due mesi «abbiamo già più di 10 parlamentari che hanno la voglia di collaborare a livello internazionale e di prendere iniziative per fermare questa pratica immorale in Cina».
Fonte: Epoch Times Italia
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